MILANO, 7 marzo 2016 - Lo stress può aumentare il rischio di progressione tumorale dei malati oncologici: molti studi hanno dimostrato che questi effetti sono causati dalla diffusione delle cellule tumorali nel sangue, attraverso nuove “vie di fuga” che lo stress è in grado di aprire. Uno studio, recentemente pubblicato su Nature Communications – coordinato dalla Monash University di Melbourne (Australia), con il contributo dell’Istituto Europeo di Oncologia – ha ora svelato il meccanismo con il quale lo stress modula la diffusione del tumore attraverso un’altra rete di trasporto facilmente accessibile alle cellule malate: il sistema linfatico. In pratica lo stress cronico ristruttura le reti linfatiche intorno al tumore e al suo interno, per offrire alle cellule tumorali nuove vie di diffusione. E’ stato inoltre identificato un inaspettato sistema di comunicazione fra i segnali neurali indotti dallo stress e i processi infiammatori.
Lo stress cronico, in parte mediato dal sistema nervoso simpatico, induce una serie di cambiamenti fisiologici, quali la formazione di nuovi vasi e l’attivazione di cellule infiammatorie (come i macrofagi), che promuovono il processo di metastasi. “Lo stress influenza non solo il nostro benessere psicologico, ma anche la nostra biologia – ha dichiarato Erica Sloan, co-autrice dello studio-. In particolare il nostro lavoro fa luce sulle prime fasi della disseminazione delle cellule tumorali all’interno del sistema linfatico. Abbiamo trovato nei modelli animali che lo stress favorisce la creazione di nuovi vasi linfatici che diffondono il tumore, e allo stesso tempo modula il flusso della linfa al loro interno. In pratica lo stress aumenta la velocità lungo le nuove vie linfatiche e aiuta le cellule a spostarsi più rapidamente ed espandersi al di fuori del tumore”.
I ricercatori hanno quindi esplorato la possibilità di ridurre la diffusione tumorale bloccando le vie di segnalazione dello stress e hanno studiato a questo fine i betabloccanti – farmaci tradizionali disponibili a basso costo, con pochi effetti collaterali, normalmente utilizzati per la cura dell’ipertensione – che hanno la proprietà di inibire il segnale di un “ormone dello stress” (la noadrenalina o norepinefrina), che a sua volta gioca un ruolo di progressione tumorale.
A questo punto è stato fondamentale il contributo di Sara Gandini, Edoardo Botteri e Nicole Rotmensz della Divisione di Epidemiologia e Biostatistica dell’Istituto Europeo di Oncologia. Con uno studio osservazionale su 1000 donne trattate in IEO per tumore alla mammella, il team IEO ha confermato nella clinica i risultati ottenuti in vivo: le pazienti che assumono betabloccanti hanno dimostrato un’incidenza minore di linfonodi colpiti e di metastasi a distanza, anche tenendo conto di fattori concomitanti come l’età e il tipo di trattamento seguito.
La ricerca su betabloccanti e stress è centrale allo IEO – ha commentato Sara Gandini - L’associazione tra questi farmaci e la sopravvivenza da tumore al seno - è stata dimostrata anche in una meta-analisi di 10 studi e 46000 casi di tumore, che abbiamo recentemente pubblicato sull’ “International Journal of Cancer”. Abbiamo inoltre dimostrato in uno studio pubblicato su PlosOne e condotto in collaborazione con la Divisione di Psiconcologia, diretta da Gabriella Pravettoni, come nelle pazienti operate per tumore al seno la relazione parentale e gli eventi stressanti legati alla vita sentimentale siano associati alla probabilità che la malattia si estenda ai linfonodi. Per confermare che i Beta-bloccanti possono costituire un valido trattamento in ambito oncologico abbiamo ora bisogno di sperimentazioni randomizzate. Per questo stiamo disegnando due studi multicentrici: uno ancora sul tumore del seno, in collaborazione con Andrea Decensi dell’Ospedale Galliera di Genova e con Pamela Guglielmini dell’ Ospedale di Alessandria, e l’altro per pazienti con melanoma, insieme a Vincenzo Degiorgi, dell’Ospedale di Firenze.